#DEMLAB – Quando la verità si confonde con la narrativa: il caso del comunicato di Amnesty International che ha generato falsi racconti


Capita spesso di leggere sui giornali notizie che poi diventano vere e proprie impalcature narrative. Questo articolo si prefissa come scopo non tanto l’originalità o quello di dare uno scoop (oggettivamente il tema è già stato affrontato egregiamente come specificherò in seguito) ma si vuole fare da cassa di risonanza all’argomento ed indurre alla riflessione sul come il modo di trattare alcune notizie possa generare narrazioni del tutto false e come alcune omissioni possano continuare ad alimentarle.

Il caso che prenderemo in esame è quello del “rapporto” Amnesty International del 4 agosto 2022 che accusava le forze armate ucraine di aver messo in pericolo ed usato di fatto come scudi umani la popolazione civile che fu colpita poi conseguentemente dai Russi. Il “rapporto” fu ripreso immediatamente da fonti russe, anche nell’ambito delle nazioni unite, come prova che gli ucraini sarebbero criminali di guerra tanto quanto i russi. Diversi giornali italiani avallarono suddetta narrativa per supportare i motivi dello stop all’invio di armi nonché per evidenziare che la morte di tanti civili era dovuta alla follia dei soldati ucraini che usavano i civili come scudo umano e non alla follia degli invasori russi.

Iniziamo con l’evidenziare la prima imprecisione, ciò che è stato trattato da molti media come un “rapporto” di Amnesty International era in realtà un comunicato stampa di Amnesty International (per i meno esperti, la differenza tra un comunicato ed un rapporto sta fondamentalmente nella completezza e nell’esaustività del secondo rispetto al primo) che fu prontamente tradotto anche in italiano e divulgato. La sua diffusione suscitò da subito grosse critiche da Amnesty Ucraina, Amnesty Canada, dal governo ucraino e da diversi giornalisti indipendenti, critiche però rispedite inizialmente al mittente da Amnesty International che anzi confermando la veridicità dei fatti indicati nel comunicato lo usò come emblema della sua imparzialità di giudizio e di verifica.

Pochi giorni dopo, il 7 agosto 2022 si iniziò ad evidenziare un certo disagio per Amnesty International, uscì un altro comunicato dove confermando i contenuti del precedente, si scusava in maniera piuttosto goffa nei confronti del popolo ucraino, grosso modo per i toni usati e si impegnava a rivalutare le modalità sul come erano state raccolte le prove usate per la creazione del comunicato del 4 agosto.

Arriviamo al 27 aprile 2023 quando il The New York Times pubblica i risultati dell’analisi di esperti di diritto internazionale indipendenti, chiamati da Amnesty International per analizzare il rapporto che era alla base del comunicato del 4/08/2022; l’ampia analisi degli esperti evidenzia in un report come erano presenti delle falle enormi dal punto di vista legale nonché nell’approssimazione del linguaggio e delle procedure utilizzate per legittimare il comunicato del 4/08/2022, di fatto invalidandone le conclusioni.

Ci si sarebbe atteso dagli organi di stampa e dai media italiani che tanto hanno caldeggiato la narrazione costruita sul comunicato del 4/08/2022, una pronta rettifica come fatto da tutti i media internazionali (Russi e pochi altri esclusi), invece no! L’omissione della notizia continua ad alimentare la disinformazione e la narrazione costruita su fondamenta del tutto false.

In Italia uno dei pochi (se non il solo) ad affrontare tale argomento con il merito di render nota la vicenda con dovizia di particolari è stato il giornalista de Il Foglio Luciano Capone a cui va dato il merito di aver indagato e portato alla luce tali incongruenze ed evidenze.

Purtroppo però sappiamo bene come una narrazione portata avanti per mesi con continuità ed intensità da numerose testate, si sedimenti facilmente nell’opinione pubblica e sia difficile da estirpare specialmente se le rettifiche stentano ad esser proposte all’opinione pubblica con la stessa forza ed intensità con cui si propongono le narrazioni fallacee. Il fatto inoltre evidenzia come un certo tipo di disinformazione investa non solo testate palesemente poco serie ma anche le così dette testate affidabili (nell’articolo non cito le testate coinvolte, ma con le date e i riferimenti ognuno può risalire facilmente ai nomi delle testate e dei giornalisti) generando nella migliore delle ipotesi confusione nel lettore, nella peggiore delle ipotesi vera e propria disinformazione. Il perché ci sia reticenza da parte dei nostri media a rettificare alcune notizie e ad

ammettere la conseguente illogicità e inconsistenza delle narrazioni fatte, rientra nell’ambito delle opinioni personali e di quelle riflessioni che spero ogni lettore sia stato stimolato a fare.

Autore: Giovanni De Maria